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MESE CON I DEFUNTI

LE ANIME DEL PURGATORIO

 

 

GIORNO 3

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Indice

 

  

MEDITAZIONE

 

 

 

Pene che si soffrono in purgatorio. Pena del danno.

 

Le principali pene che si soffrono nel purgatorio sono: 1° la pena del danno, cioè la privazione della vista di Dio; 2° il ricordo dei peccati commessi o fatti commettere, e delle grazie abusate; 3° la pena del fuoco. 

 

Fra tutte le pene quella del danno è la più terribile. In questo mondo si ha imperfettissima conoscenza delle divine perfezioni, fermandosi l'intelletto umano troppo raramente a considerare le perfezioni di Dio, e vedendo solo per via dei sensi e di rozze immagini. La volontà, divisa da molte affezioni, occupata da mille desideri, la maggior parte frivoli o peccaminosi, non le permettono d'innalzarsi fino a Dio, cui ella ama troppo languidamente, come un bene quasi totalmente sconosciuto. Ma quando l'anima non è più prigioniera del corpo, nulla le impedisce di comprendere a pieno tutti i motivi che ha d'amar Dio con tutte le forze. Vedendosi quindi nello stato capace di possedere il suo Signore, ed esserne ciò nondimeno separata, quantunque solo per un tempo, è cosa impossibile, che amandolo come essa lo ama, tale crudele separazione non le sia soltanto purgatorio, ma quasi inferno. «L' istinto che la porta verso Dio, dice s. Caterina da Genova, opera sopra di lei con il massimo impeto; ed il fuoco della carità, che la divora, le imprime così forte slancio verso l'ultimo fine, che ha per intollerabile supplizio il sentir in sé un ostacolo che le impedisca di lanciarsi fino a Dio. Il purgatorio in quanto è purgatorio, cioè luogo di sofferenze, è un nulla per lei; ma sentire uno slancio ardente verso Dio senza poterlo soddisfare forma la maggiore sofferenza possibile, il vero purgatorio. Quest'anima, angosciata per tanto martirio, esclama: «Ho sete del Dio vivente; quando mi potrò presentare al cospetto del Signore?». 

 

Inoltre, il motivo per il quale i giusti sono esclusi dal cielo per qualche tempo contribuisce non poco a crescerne il dolore. Sanno essi che l'unica causa per cui soffrono tante pene è l'aver ingiustamente offeso un Dio ottimo. Pensano alle grazie infinite di cui hanno abusato, le quali avrebbero bastato a farli gran santi. Ripassano nell' amarezza dell'anima loro le colpe commesse. Ohimè! se un gran santo, che aveva da Dio ricevuta cognizione chiara delle leggere imperfezioni dell'anima sua, quasi ne moriva per il dolore, qual pena non devono soffrire i giusti del purgatorio conoscendo con il lume della santità divina tutte le macchie della loro anima? Quale non deve essere specialmente il dispiacere di coloro che diedero occasione al prossimo di offendere Dio; che per i loro scandali sono stati causa che altri soffrissero tali pene, e forse qualcuno precipitasse all' inferno? Piangono i miseri purganti con lacrime di sangue l'accecamento passato, ne domandano perdono a Dio così buono ed amabile, da cui non ricevettero altro che bene, e che irritato ora contro di essi si vendica delle loro ingratitudini passate con il nasconder loro la faccia, e tenendoli lontani da sé in orribile carcere, dove ardono dello stesso fuoco dei suoi nemici nell'inferno. 

 

Se non vogliamo provare simile dolore, amiamo Dio in questa vita, eccitiamoci a vivo dolore per averlo offeso. La nostra contrizione ora ha valore espiatorio, mentre dopo morte sarà senza consolazione e senza merito. 

 

FIORETTO SPIRITUALE. Immaginatevi tutti i tormenti possibili, non ne troverete alcuno che uguagli la privazione della beatifica visione di Dio. (S. Giovanni Grisostomo). 

 

Esempio. Negli annali dei Padri Cappuccini il nome del fratello Antonio Corso è celebre per le austerità da lui praticate, quantunque non avesse bisogno di espiare antichi falli, avendo portato al chiostro l'innocenza battesimale e la pratica di un'eminente perfezione. — Nondimeno apparve, dopo morte, all'infermiere chiamato Giovanni, e gli fece conoscere essere tra le fiamme del purgatorio. — Come! in purgatorio, voi che avete fatto tanta penitenza in vita? riprese l'infermiere. — Commisi, disse l'anima, un fallo contro la santa povertà. Io non credevo di far male; ma avrei dovuto istruirmi meglio delle mie obbligazioni. — L'infermiere gli chiese se le pene che soffriva fossero atroci. Il defunto rispose che la pena del danno, o la privazione della vista di Dio gli pareva insopportabile; perchè subito dopo morte l'anima tende invincibilmente al suo Creatore, e quanto la trattiene lontano le torna d'indicibile supplizio. Aggiunse che ben presto sarebbe ammessa all'eterno gaudio. Nuova lezione del gran caso che si deve fare delle più lievi colpe.

 

 

 

 

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