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Servo di Dio

FRANCESCO PAOLO GRAVINA 

Francesco Paolo Gravina di Palagonia è un laico e tale rimane dopo la separazione dalla moglie, quando decide di restare fedele al Sacramento del matrimonio. Sposatosi a 19 anni con la principessa Nicoletta Filangeri Pignatelli, se ne separa all'età di 29 anni per la condotta della moglie che era innamorata di un altro. "La sua stessa vita fisica e morale appariva inizialmente demolita e l'uomo, che quando questo avveniva non era un santo, dovette compiere uno sforzo enorme per risalire la china dell'esistenza." Per tradizione si colloca in questo doloroso momento il suo ingresso nel Terz'Ordine Francescano.

Francesco Paolo Gravina rimane dunque dinanzi a Dio in quello stato in cui è quando ne ode la voce. La sua condizione secolare resta il luogo nel quale gli viene rivolta la chiamata di Dio.

Così egli continua a vivere nel secolo, cioè implicato in tutti e singoli doveri e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale di cui la sua esistenza è intessuta.

Egli non si liberò mai dalla malinconia nata dalla separazione dalla moglie, che amò sino alla fine. Si dedica alla carità spicciola, poi, nel 1835 scrive la sua lettera di accettazione dell'incarico di occuparsi dei mendicanti di Palermo. E' una lettera di gioia, per cinque mesi non ha pensato ad altro, è la svolta della sua vita,è la sua missione.

Si occupa del Deposito dei Mendici e fonda una Congregazione religiosa "Le Figlie della Carità" del Principe di Palagonia. In quel periodo storico in cui i mendicanti venivano chiusi in carcere, egli si preoccupa della loro dignità umana e quindi che avesse un ricovero dove essere alloggiati, curati, sfamati, e potessero imparare un lavoro.

La sua carità è sostanziata di giustizia, il suo desiderio di riscattare dalla povertà è sorretto dalla volontà di ricostruire l'uomo tutto, offrendogli, insieme al pane e a un tetto, l'insegnamento cristiano, l'educazione alla convivenza civile ed il lavoro. 

Pur avendo l'incarico pubblico per assistere i poveri è pur vero che spesso sopperirà con le sue stesse sostanze alle necessità, non indifferenti, per mantenere più di 1000 poveri. Esiste una serie di lettere da cui si trae quante volte egli sollecitasse le autorità per avere dei contributi economici, richieste non sempre prese in considerazione.

Purtroppo pochi sono gli scritti personali del Principe, dato che per riservatezza, preferì bruciare anche dei libretti di appunti. Da poche frasi si ricava che la spiritualità del Principe di Palagonia era per prima cosa vivere nell'ubbidienza a dio, giorno per giorno. 

L'umile servo di Dio, l'unica volta che apre la sua anima, in cinque solenni frasi afferma, facendo eco alle parole del Maestro:

- Dichiaro che ho inteso di ubbidire alla Suprema Divina Volontà, manifestatami in tutte quelle circostanze di mia vita in cui mi ha posto Iddio Onnipotente.

- Iddio infatti mia ha voluto privare di figlioli e di qualsivoglia discendenza, ed in ciò riconosco l'impenetrabile decreto dell'Altissimo

-E come meglio poteva manifestarmi l'Altissimo di essere sua suprema assoluta volontà che io deponga ogni fasto di famiglia e di perpetuazione del mio nome

-Riconosco del pari suo sovrano Volere, che il mio patrimonio serva sopra di ogni altra cosa in sollievo di infelici e nel promuovere sempre più la gloria delle sue divine misericordie

-Seguendo dunque gli alti destini indicatimi dalla divina Volontà

 

Amare, fare tutto ciò che l'amore suggerisce, e l'amore può suggerire cose incredibili nelle circostanze adatte, perfino di fondare una congregazione di suore e non riuscire per questo a sentirsi un fondatore.

Non prete né frate, non predicatore né direttore di anime, ma principe, sindaco ad amministratore di opere civiche, visse la carità con un'intensità che trasmise direttamente alle sue suore senza aver mai fatto a loro una conferenza o scritto un libretto di consigli spirituali.

Tutto questo presuppone un'intima vita di unione con Gesù.

Egli entrò nel Terzo Ordine Francescano e cinse quel cordone bianco di castità che avrebbe portato - invisibile - per tutta la vita, fino a svelarne l'esistenza il giorno della morte.

Quanto è creduto impossibile dai più - l'osservanza della castità perfetta - diventa per lui, con la grazia del Signore, possibile e autenticamente liberante. 

Il Principe muore all'età di 54 anni e nel testamento mistico lascia anche una somma destinata per far celebrare le S. Messe per la moglie ancora viva. La vedova sposò poi il suo compagno, non ebbe figli, ma diventò donna di preghiera tanto che i parenti del marito conservano un libro di preghiera e la corona del rosario della principessa.

( Liberamente tratto dal testo di U. Castagna, Amare sino alla fine, Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2001).

 

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