UN ANNO CON SAN GIUSEPPE

 

8° Marzo

 

Giuseppe povero 

 

I. — Spirito di povertà. — La povertà materiale, senza lo spirito di povertà, vale poco. Il mondo abbonda di poveri, particolarmente in questa epoca di decadimento, ma che hanno il cuore avido di possedere i beni dei ricchi. Quando la povertà reale è volontaria, o almeno bene accettata, diventa virtù e si chiama spirito di povertà; come possiede spirito di povertà il ricco, che non ha il cuore attaccato alle ricchezze. Discendente di reale famiglia, ora decaduto al livello di un misero fabbro, Giuseppe era costretto a lavorare tutti i giorni, per procurarsi il necessario alla vita. Quante umiliazioni gli arrecava il suo mestiere, nel contatto col pubblico, specie in Egitto! Rifiuti, disprezzi del lavoro, lesinamenti sulla mercede. La bottega di Giuseppe era di minuscole dimensioni; la suppellettile di casa scarsa e modesta; il cibo frugale, le vesti di panno grossolano. Tutto codesto squallore di povertà formava il più splendido ornamento, per l'altezza della sua dignità, e non recava alcuna pena o turbamento al cuore di Giuseppe, distaccato dai beni fugaci di quaggiù. Se sapessimo valutare il pregio della povertà di spirito, non ci meraviglieremmo, al vedere come i santi la sposassero con amore di preferenza e rinunziassero a tutti i beni della terra. Radice di tutti i mali è la cupidigia. Le ricchezze agognate e ricercate accendono nel cuore brame molteplici e nocive, che conducono a perdizione. Se il Signore ce ne concede, facciamone buon uso, specialmente nella carità; ma non vi attacchiamo il cuore; se ce ne priva, non ci mettiamo in pena, ma facciamo buona compagnia alla famiglia di Nazaret, e confidiamo nella divina Provvidenza, che non ci farà mancare il necessario. 

 

II. — Le ricchezze della povertà. Giuseppe era privo di tutto, doveva lavorare, per procurarsi il pane quotidiano, ma per contrario era ricco di ogni bene celeste. Oltre che possedere Gesù, fonte di ogni ricchezza, che avrebbe potuto, volendolo, colmarlo in un istante di quanto si potesse desiderare, oltre che possedere la nobiltà dell'animo, superiore a tutte le avidità dei beni materiali, egli possedeva la generosità, ispirata da un grande amore, onde non solo accettava le privazioni della povertà, ma ne godeva, e ne faceva un'offerta al suo dolce Signore, fattosi povero bambino fra le sue braccia, per amore degli uomini. La virtù della povertà crea un vuoto, ma più che il vuoto della borsa fa il vuoto del cuore. Questo vuoto è la condizione per procurare la pienezza di Dio e dei beni celesti. In tal vuoto, colmato di spirituali ricchezze, nuotava soddisfatto il cuore di Giuseppe, nella sicurezza che nulla mai gli sarebbe mancato del necessario, e, se per caso fosse mancato, come difatti mancò a Betlem, gli stenti e i disagi conseguenti si sarebbero volti, nelle viste del Signore, a sua maggior gloria, ad aumento di meriti per lui e a vantaggio delle anime. Come è stolta la prudenza della terra, che si appoggia ai beni materiali, e in essi ripone la sicurezza della sua felicità! Le ricchezze terrene sono caduche, arrecano grandi ansie, suscitano una folla di desideri inutili e nocivi, che possono condurre alla perdizione. I santi, a somiglianza di Giuseppe, hanno sposata la povertà, e nella rinuncia della materia, godevano nel sentirsi liberi e agili, per volare a Dio. S. Luigi Gonzaga nell'atto di far la rinunzia legale del marchesato e del corteo di beni annessi a favore del secondogenito Rodolfo, gongolava di letizia, mentre il fratello era tutto impacciato. S. Francesco sposò "Madonna povertà". Se sapessimo spogliarci di ogni sollecitudine terrena, quanta libertà di spirito e quanta pace godremmo in compenso! 

 

Fioretto: Facciamo oggi una larga elemosina o una pia offerta, per rintuzzare la nostra sollecitudine per i beni temporali.

 

Giaculatoria: O Giuseppe, amante della povertà intercedi per noi. 

 

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CAPPELLINA

 

 

 

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