UN ANNO CON SAN GIUSEPPE

 

18° Luglio

 

MORTE PREZIOSA DI S. GIUSEPPE.

 

La morte dei giusti è il principio della loro felicità per la memoria delle loro virtù, e la speranza della loro corona e della loro unione con Dio. Quanto però dovette essere dolce la morte del più giusto degli uomini, così da vicino congiunto a Dio! Dopo aver passato trent'anni in compagnia di Gesù e di Maria, colmo di grazia e di meriti, alla felicità di Giuseppe altro più non mancava che di rendere l'ultimo respiro nelle loro braccia. Egli muore dopo aver allevato, nutrito ed educato il suo Dio come suo figliuolo; muore dopo averlo scampato da tutti i pericoli, sostenuto nell' esilio con mille sacrifici; muore dopo essere stato testimonio dei suoi divini esempi, dopo aver raccolto tutte le parole di vita uscite dalla adorabile sua bocca; egli rende dolcemente l'anima al suo Creatore; egli trova nel suo giudice Colui che amò qual suo figliuolo, Colui che gli obbedì come a suo padre; egli aspetta la sua sentenza da Colui, al quale per trent'anni comandò. Gesù non ha che darsi a vedere per restituire la calma a tutti i cuori, come già al mar agitato; eccolo però tutto intento a riempire delle sue ineffabili consolazioni un padre che ama. Con qual fiducia Giuseppe stende al suo divin figliuolo quelle mani che lavorarono per lui, quelle braccia che in altro tempo lo portarono. Ah! figliuolo mio, dopo ch'io tutta la mia vita ho passata con voi, ne sarò separato in eterno? No, no, io vado a continuare un paradiso che ho già cominciato; la morte non è per me il fine, nè il principio della felicità; io non lascio il mio figliuolo ed il mio Dio se non per trovarlo sempre tale; Egli sarà sempre per me quello che volle essere sempre. Ed oh! quanto mi piace contemplare questo benedetto Patriarca, che fissa i suoi occhi moribondi sul Verbo divino, il quale lo chiama con il dolce nome di padre, e sulla Regina degli Angeli, che lo chiama suo sposo diletto; che spira in un santo trasporto di amore pronunciando con gioia indicibile i santi nomi di Gesù e di Maria. O morte veramente preziosa agli occhi di Dio! O morte degna dell'invidia degli Angeli! O gran santo! mio fortunato padre, io non desidero più di vivere, vedendo voi morire; ciò che vi domando è di non più vivere se non per fare una morte simile alla vostra. Ma per ottenere questo favore segnalato, io debbo applicarmi a morire durante la mia vita, per non viver più, come il vostro esempio, che di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Questa continua morte toglie all' altra morte tutti gli orrori e tutte le amarezze; ella diviene allora il felice giorno della liberazione e della consumazione dell'olocausto.

 

O mio caro santo avvocato, io imploro la vostra assistenza sin d'ora per il momento tremendo della mia morte: giacchè io non so se allora avrò mente o forza di chiamarvi in mio soccorso e di pronunziare i dolcissimi nomi di Gesù e di Maria. Ahimè! dopo tanti peccati io ho tutta la ragione di temere della divina giustizia: le mie infedeltà mi fan tremare. Deh! gran santo che siete il modello, il patrono, il consolatore dei moribondi, fate che anch'io muoia della beata morte dei giusti. Ma per sperare tanta grazia, datemi di vivere come voi nella pratica delle cristiane virtù, e di morire alle mie passioni e ai miei carnali desideri, per vivere unicamente per il mio Dio che è morto per la mia salute. Oh! che io faccia per tempo penitenza dei miei peccati: e voi ottenetemi la grazia che vi chiedo. Gesù, Maria, Giuseppe, siatemi propizi ora e alla mia morte.

 

FIORETTO. Questa sera coricandovi raccomandatevi a san Giuseppe e pregatelo ad assistervi in punto di morte.

 

Morte preziosa del conte Giuseppe di Stolberg.
In punto di morte specialmente, S. Giuseppe assiste con gran premura i suoi fedeli servi e coloro che hanno avuto la sorte d'esser messi sotto la sua protezione nel ricevere l'augusto suo nome nel santo Battesimo. Ne abbiamo un'ulteriore prova in tutte le circostanze edificanti che precedettero ed accompagnarono la morte del celebre e pio conte Giuseppe Stolberg. Il primo aprile 1859 arrivò il conte Giuseppe a Tournai, scese all'albergo detto Piccola Nave, e la prima sua visita fu alla baronessa di Casier sua zia. In quel giorno era esposto il SS. Sacramento nella chiesa dei Gesuiti confinante con il palazzo della medesima baronessa. Andò ad adorare il suo Dio, e nell'uscir dalla chiesa trovò una sua cognata a cui disse: «Era ben giusto cominciar le visite volgendo un ossequio e una parola al nostro miglior amico, non è vero? Ora godremo meglio le compagnie terrene.» La domenica, 3 del mese, ritornò a casa della cognata signora Matilde, la quale era assente: prese intanto un libro che stava sulla tavola ed era un'opera di san Leonardo da Porto Maurizio: quando entrò la Signora, «ecco, disse, un libro che dovrebbe trovarsi presso tutti i cristiani, poichè una buona lettura giova sempre moltissimo.» Che leggevate? gli domandò la cognata. «Un tratto sull'uniformità alla volontà di Dio, la quale quanto più si medita, tanto è più amabile.» Nelle ore pomeridiane egli era d'un'allegria ed affabilità grande: parlava di sua moglie, dei figli, insomma della sua felicità. «Posso e debbo dirlo, così ripeteva, Dio è stato continuamente troppo buono con me: mi ha dato una sposa che mi fa totalmente felice: unito a lei mi sembra si possa soffrire tutte le disgrazie senza esser infelice.» Il discorso cadde quindi sulla morte; e in tal proposito cosi si espresse il conte: « Per me non avrei nessuna pena se anche adesso dovessi morire, e credo che mi troverei perfettamente tranquillo e contento; e voi Matilde ?» «Oh! in quanto a me, rispose quell'anima buona, mi pare che avrei dispiacere solo dei peccati commessi, ma Dio è buono e desidererei ancora di morire: se però avessi, come voi, famiglia, credo che non potrei dir questo.» Allora quell'uomo di fede, guardandola seriamente disse: «No, no, non temerei neppure perciò! e come potrei io aver inquietudine per la mia Carolina e per i figli? Il buon Dio non è sposo e padre migliore di me? Se morissi, sarebbe egli che mi chiamerebbe a sè: dunque egli certamente avrebbe cura delle care persone che mi appartengono. Ma chi sa che non parli così ora che sto benissimo, e robusto come sono non pensi alla morte che come a cosa lontana? tuttavia è bene pensarvi sempre.» La sera non si rivide per il pranzo, e la cognata si recò all'albergo e trovatolo indisposto, seguì l'impulso di sua carità che l'inspirava a non abbandonarlo in quella notte. Per eseguire gli ordini dei medici doveva dargli spesso delle medicine, e la pazienza dell'infermo non diminuì mai. Pregava continuamente e con speciale piacere amava ripetere: «Mio Signore e mio Dio, abbiate pietà di me!» Pronunziò una volta queste parole con espressione di molta e viva pena, per cui la cognata gli porse un crocefisso da baciare e gli suggerì l'altra seguente aspirazione consolante: «Mio Signore e mio Dio abbiate pietà di me e rimiratemi.» Allora rivolse esso lo sguardo a Matilde con un sorriso inesprimibile, poi ripetè: «si, mio Salvatore e mio Dio, abbiate pietà di me,» e dopo seguitò sempre la stessa preghiera. La cognata gli dava spesso da baciare il crocefisso, e quando gli diceva: «Giuseppe, soffrite molto, n'è vero? Eh ! rispondeva, non si può soffrire per lui!!!» Quella rassegnazione alla volontà divina che tanto aveva raccomandato in tutto il corso di sua vita, la praticava bene sul letto di morte. Il lunedì sera rimirando il crocefisso, ed essendogli detto, «esso vi ama tanto!» tosto ripetè: ed io pure l'amo molto! Il peggioramento del male consigliò i medici di fargli amministrare i SS. Sacramenti. Il conte aveva grandissima confidenza nel P. Rettore del collegio della Madonna poichè ne aveva parlato il sabato antecedente con espressione di vera affezione. Venne dunque questo padre alle ore nove circa della sera; gli parlò d'una novena che si sarebbe incominciata per lui, e con questo mezzo l'impegnò a confessarsi. Mentre il padre aspettava che Giuseppe fosse pronto, Matilde l’incoraggiava dicendogli: «Caro Giuseppe, siete molto abbattuto; avreste piacere che vi facessi l'esame di coscienza e vi suggerissi gli atti preparatori alla santa Confessione?» A tali inchieste esso rimirò affabilmente la sua consolatrice e così le rispose: «Ti ringrazio, mia buona sorella, ciò non è necessario; non mi sento rimordere quasi di nulla; e il buon Dio lo sa. Sono tranquillo, sono tranquillissimo.» Aveva il pio costume di confessarsi ogni settimana e più spesso accostarsi alla sacra mensa, ed erano solo due giorni che aveva avuto tal sorte; nondimeno si confessò volentieri e quando gli portarono il santo Viatico, espresse alla cognata il timore di non esser così gravemente malato da poter partecipare della santa Eucaristia per viatico. Al che essa gli rispose: «Stimo che siate veramente in pericolo, perchè i medici cosi hanno giudicato.». Il conte la ringraziò; ma rimanendogli ancora uno scrupolo, richiese di ciò anche il P. Rettore ed esso pure gli rispose: «I medici lo hanno ordinato.» Allora l'infermo alzando la voce esclamò: «Bene, bene!» ed inginocchiatosi sul letto si comunicò! La mattina del giorno 5 alle ore tre convenne disporlo ancor più decisamente al gran passo dicendogli: facciamo il sacrificio della vita: al che mostrò di sottomettersi con un segno. Più tardi la buona cognata cosi gli parlò: «Mio caro Giuseppe, il padre avrà la bontà di darvi l'assoluzione generale e l'indulgenza in articulo mortis; facciamo assieme l'atto di contrizione e di rassegnazione alla divina volontà. «Si, Mat...» ma non potè terminare il nome. Poco dopo gli venne suggerita la bella giaculatoria: lodato sia Gesù Cristo. Egli non rispose; ma avendola il padre replicata più adagio: Si amen, replicò: e queste furono le ultime sue parole qui in terra: morì alle quattro e mezzo antimeridiane senza dare alcun indizio di penosa agonia. La sua spoglia mortale fu trasportata alla chiesa dei RR. PP. Redentoristi, ed il venerdi 8 aprile fu sepolto a Roumillies nella tomba di sua famiglia presso la madre e la sorella. Monsignor Kettler vescovo di Mayence, scriveva alcuni giorni dopo questo bel transito le seguenti parole: « Preghiamo per Giuseppe, e presto egli pregherà per noi e lo potremo invocare. Monsignor d’Osnabruch mandò una lettera al suo clero per avvertirlo di tal morte e raccomandarlo alle loro preghiere nel santo Sacrificio. Il R. P. Provinciale dei Gesuiti, in Prussia, ne avvisò pure tutti i suoi padri. Insomma si fece un lutto generale nell'Alemagna cattolica, e questo si diffuse altresì nel Belgio dai moltissimi amici del pio conte e della nobile famiglia a cui era congiunto.

 

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CAPPELLINA

 

 

 

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