UN ANNO
CON DON BOSCO
29° Agosto

253) Quali sono le principali virtù morali?
Le principali virtù morali sono: la religione che ci
fa rendere a Dio il culto dovuto, e le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, che
ci fanno onesti nel vivere.
506 - Religione cattolica.
Finalmente vi rimanga altamente radicato nell'animo il pensiero
che la religione fu in ogni tempo riputata il sostegno dell'umana società e della famiglia, e che dove non vi è religione non vi è che
immoralità e disordine, che perciò noi dobbiamo adoperarci per
promuoverla, amarla e farla amare anche dai nostri simili e guardarci
cautamente da quelli che non la onorano o la disprezzano. Gesù Cristo nostro Salvatore ha fondato la sua Chiesa e unicamente in questa Chiesa
si conserva la vera religione. Questa religione
è la cattolica, unica vera, unica santa, fuori di cui niuno può salvarsi.
(Bosco, Storia d'Italia).
a) Virtù della Religione.
507 - Io non credo.
Un signore entra da Don Bosco e dice: — Io non credo ai suoi miracoli, Don Bosco.
— Io non faccio miracoli, ma prego Dio a voler benedire le persone
che si raccomandano alle preghiere; e Dio, vedendo le promesse di
buona vita e le buone opere, esaudisce.
E quegli: — Da 40 anni non faccio più la Comunione perchè non ci credo.
— Male; non ho tempo di entrare in discussione, ma se fosse in
fin di vita, senza speranza di guarigione, e Don Bosco le dicesse che
senza confessione potrebbe essere eternamente infelice, lei non farebbe
la confessione anche con il solo dubbio che essa serva a qualche cosa?
Mi pare che sia la via più sicura onde evitare una disgrazia eterna,
tanto più che la confessione non costa nulla. — Certo prenderei la via più sicura confessandomi, rispose quel
signore. — Perchè non lo fa ora mentre è sano? — È difficile.
— Non è difficile, ma anche lo fosse, un uomo come lei non deve
prender paura, guardando all'eternità. — Se vuol confessarmi, son pronto.
— Vi è troppa gente, non posso, e lo indirizzò a un altro pio
sacerdote. Quel signore tre giorni dopo fece la Santa Comunione alla
Messa di Don Bosco, quindi passò a ringraziarlo. (M. B., XVI, 151-153).
508 - I tre Re Magi.
Per una festa a Valdocco, i giovani dell'Oratorio prepararono
un dramma intitolato i Tre Re Magi. Gli attori tennero tra di loro
una piccola segreta congiura, e col pretesto di vespri solenni che dicevano doversi cantare all'Oratorio, si presentarono in alcune
parrocchie chiedendo in prestito quattro piviali. Ci voleva anche un
manto per Erode. Avutili facilmente, essendo andati a nome di Don Bosco, li nascosero con gelosa cura e al momento di entrare in scena,
eccoli trionfanti coi piviali sulle spalle. Superfluo descrivere le risa
convulsive degli spettatori, e la ridicola figura di quei giovani ai quali
Don Bosco faceva deporre quelle sacre vesti. Un'allegra ed ingenua
spensieratezza era il carattere della maggior parte dei giovani di Don
Bosco, la presenza del quale infondeva in tutti un senso di gioia
inesprimibile. {M. B., IV, 14).
b) Prudenza.
509 - Non c'è « ma » che tenga.
Alcune volte i contadini di qualche frazione della borgata, desiderosi di darsi un po' di spasso e fare quattro salti mandavano in
cerca di un organino. Come un lampo si spargeva la notizia di masseria
in masseria, e la gente uscita di casa gridava da una collina all'altra:
— Andiamo al ballo! — Mamma, andiamo anche noi! chiedevano ansiosi i figli di Margherita.
Essi non pensavano che alla musica e al chiasso. — State fermi qui: vado io a vedere che cosa c'è di nuovo, diceva
loro Margherita. Se vedeva un'accolta di oneste persone ritornava dipendo ai figli; — Andate pure. Ma se aveva osservato una
sconvenienza, fosse pure minima, la risposta era perentoria: Questo
divertimento non fa per voi. — Ma... ma... ma... — Non c'è ma che tenga. Avete capito?
— E li intratteneva fino ad ora conveniente con racconti
interessantissimi. (M. B., I, 159-160).
510 - Mangio un cane!
Don Bosco aveva promesso di andare al castello di Caselette a
pranzare col conte Cays nel giorno del suo onomastico. Ma non aveva mai potuto mantenere la parola. Un anno mandò a dire al conte
che sarebbe andato infallibilmente. — Se Don Bosco viene, io mangio un cane
intero! esclamò sorridendo il conte.
E Don Bosco, saputa la cosa, andò recando con sè alcuni cagnolini
di pasta dolce, confezionati da un valente pasticciere. Trattili fuori
alla frutta, li pose sulla tavola: — Signor conte, gli disse, mantenga la sua parola. Qui c'è un
cane e deve mangiarlo tutto intero!
Il conte che non aspettava quella improvvisa facezia, ne rise di
cuore. (M. B., V, 315-316).
c) Giustizia.
511 - Glorificare Dio.
Mons. Spinola, vescovo titolare di Nilo, aveva scritto sopra una
rivista di Barcellona articoli illustranti l'opera di Don Bosco. Uno dei
primi missionari salesiani, ritornato dall'America, disse a Don Bosco
che aveva letto quegli articoli e che gli erano piaciuti assai. Don Bosco
gli disse di farne la traduzione. — Ma come, Don Bosco, osservò con tutta confidenza
il missionario, noi stessi fare le nostre lodi? Non le sembra una sconvenienza?
— Eh, no! vedi, se non stampiamo noi, stamperanno altri e il
risultato è lo stesso. Non si tratta qui ormai di personalità; si tratta
di glorificare l'opera di Dio e non quella dell'uomo, perchè è opera
sua quanto si è fatto e si fa.
(M. B., XVIII, 60-61).
512 - Onestà di Mamma Margherita.
Nonostante la grande povertà che regnava nella casa di Valdocco, Mamma Margherita era di una giustizia rigorosa nel dare a
ciascuno ciò che gli spettava per diritto. Un giorno con una giovanotta
andò a far provvista di aghi, filo, bottoni e, pagato tutto, tornava a
casa coi suoi acquisti. Via facendo, andava riandando i conti e trovò
che vi era la differenza di 3 o 4 lire a danno del negoziante. Da quel
momento non potè più stare in pace, e rientrata in casa disse alla
giovane: — Ritorna subito alla bottega per riconoscere se veramente ci fu
sbaglio, ma abbi l'avvertenza di chiamare a parte il garzone che ci ha
venduto la roba e di parlare in modo da non farti scorgere dal padrone.
Il garzone restò sorpreso e: — Dite alla mamma di Don Bosco che la ringrazio tanto specialmente per il riguardo usatomi. Se vi foste indirizzata al padrone
stesso, io sarei rovinato, perchè mi avrebbe senz'altro mandato via e io
sarei rimasto senza pane. (M. B., IV, 153-154).
d) Fortezza.
513 - Ed io non scrivo!...
Nel 1855 Don Bosco aveva scritto una lettera al Re consigliandolo di non firmar leggi contrarie alla Chiesa. Il
Re ne parlava con il generale conte D'Angrogna con qualche vivacità, rimproverando
Don Bosco per avergli scritto certe minacce. Il gentiluomo, d'indole
impetuosa, credette suo dovere chiedere conto a Don Bosco della supposta
offesa fatta al Sovrano. Il conte dunque entrava vari giorni dopo
a cavallo nel cortile dell'Oratorio seguito dal suo attendente; balzato
a terra, dopo aver chiesto ove fosse Don Bosco, entrò difilato nella sua
camera. Don Bosco si alzò in piedi. — Lei è Don Bosco?, gli chiese il generale con modi risentiti.
— Sono io! — È lei che ha osato scrivere certe lettere al Re volendogli imporre il modo di governare il regno?
— Io in persona ho scritto; ma non ho mai inteso imporre la mia
volontà a nessuno.
Il generale lo interruppe, e prese ad inveire contro Don Bosco,
chiamandolo impostore, fanatico, ribelle, nemico del Re, del quale l'accusava d'aver vilipeso l'onore, oltraggiata la maestà, messa sotto i
piedi l'autorità sovrana. Don Bosco a quando a quando cercava d'interrompere quel torrente d'ingiurie e si sforzava di dimostrargli come
le sue lettere non fossero irriverenti, il fine del suo scrivere essere stato
d'illuminare il Re, amare egli il proprio Sovrano ed essere pronto a
qualunque sacrificio per dargli pegno della propria fedeltà. Ma quel
signore smaniava sempre più e non capiva o non voleva capire ragioni;
perciò alzando la voce: — Orsù, io non sono venuto perchè la questione finisca in sole
parole: lei deve dare soddisfazione degli insulti che ebbe l'ardire di
indirizzare al Re. — E in che modo? — In primo luogo, in nome di sua Maestà, le intimo di non scrivergli più cose che alludano alla sua corte ed alla famiglia reale. Il
Re
è adiratissimo, e se lei non obbedisce si ricorrerà a misure dispiacenti.
E ora sieda e scriva ciò che io le detterò. — Purché non sia una negazione della verità, io sono pronto,
disse Don Bosco; e sedutosi, prese la penna. Il generale incominciò
a dettare una formula, con la quale si chiedevano umili scuse al Re,
pregandolo a tenere come non avvenute le minacce e le profezie scritte.
Don Bosco posò la penna: — Non è possibile che io scriva simile dichiarazione.
— Eppure lei deve scriverla a qualunque costo. — E quando io l'abbia scritta, sarà lei responsabile in faccia a
Dio di ciò che potrà accadere? — Qui Dio non c'entra, gridò il generale, e voglio che scriva.
Don Bosco si alzò: — Ed io non scrivo.
A questa risposta, il generale furibondo, mise mano sull'elsa della
spada. Don Bosco preso un piglio risoluto: — Olà, esclamò, crede lei forse di intimorirmi con queste sue
minacce? glielo dico apertamente: io non ho paura.
Questa risolutezza non aspettata arrestò alquanto la foga del generale, il quale rispose:
— Come? Lei dunque non ha paura di me? — No, non ho paura perchè so con chi tratto in questo momento.
Lei è un gentiluomo, un soldato valoroso e non vorrà certamente far
violenza ad un povero prete disarmato, il quale poi all'ultimo ha fatto
ciò che credeva meglio per il bene dell'anima del suo Re. Io di ciò
sono tanto sicuro, signor generale, che se avessi saputo che lei intendeva di recarsi a casa mia, le avrei tolto l'incomodo di questa visita;
io stesso sarei andato al suo palazzo, ove con tranquillità avremmo potuto trovare il modo di dar soddisfazione al
Re e nello stesso tempo
salvare la mia coscienza. Io sapeva lei essere persona così gentile e
rispettabile, che al mio comparire avrebbe tirata fuori una bottiglia e
avrei bevuto alla sua salute.
Il generale mirava Don Bosco e non sapeva più nè che dire nè che
fare. L'ira si era calmata, e meravigliato del cambiamento dei sentimenti in lui prodottosi, mezzo sbalordito salutò Don Bosco ed uscì.
Montò a cavallo, uscì dal cancello, si fermò, rientrò nel cortile; ridiscese
e fu di nuovo nella camera di Don Bosco. — Dunque lei dice, ripigliò, che verrebbe in casa mia?
— Sicuramente. — E avrebbe coraggio? — Certo che vengo.
— E se la prendessi in parola? — Mi prenda pure. — Venga domani alle undici.
— Non posso a quell'ora, perchè ho un affare di molta importanza.
Mi fissi lei un'altr'ora che le sia comoda. — Alle tre dopo mezzogiorno.
— Ebbene: domani alle tre dopo mezzogiorno sarò a riverirla.
Il generale guardò fissamente Don Bosco, e poi partì. Il giorno
dopo Don Bosco fu esatto all'appuntamento. Fu accolto con ogni cortesia e con calma formulò la lettera da mandarsi al Re. Don Bosco
la sottoscrisse. La conversazione di Don Bosco col generale durò per
lunga ora, sempre più cordiale ed ilare. Il D'Angrogna voleva che Don
Bosco si fermasse a pranzo con lui, ma Don Bosco si scusò col dire
di aver già pranzato. Allora il generale, fermando Don Bosco che voleva partire:
— Almeno, gli disse, prima di uscire, abbia la compiacenza di assaggiare il vino delle mie vigne: voglio che
sigilliamo la nostra amicizia.
Data una voce, comparve il domestico con una bottiglia e con
una guantiera colma di biscotti. Riempiti i bicchieri e preso un biscotto, l'offerse a Don Bosco. Don Bosco scherzando domandò:
— C'è nessuna materia eterogenea in questo biscotto?
Il generale pure scherzando: — Oh questo poi! veda! Mangio io metà del suo biscotto.
E così fece. Dopo alcuni minuti si strinsero la mano si divisero
e da quel momento furono amici. Il conte D'Angrogna volendo poi
far battezzare un suo moro che aveva condotto con sè dall'Africa lo
consegnò a Don Bosco perchè lo rendesse Cristiano.
(M. B., V, 245-249).
e) Temperanza.
514 - Pan bianco e pan nero.
Giovannino Bosco incontrava ogni mattina al pascolo il servitorello Secondo Matta che attendeva alla mucca del suo padrone. Per
la colazione era provvisto di un pane nero, Giovanni aveva invece un
pane bianchissimo. Un giorno Giovanni chiese all'amico come favore
che gli cambiasse il suo pane, perchè, diceva, quello doveva essere
più buono del suo. Matta accondiscese volentieri. Per due primavere
di seguito avvenne lo scambio. Il Matta, divenuto uomo, raccontava
a un salesiano che solo lo spirito di mortificazione mosse a quell'azione Giovanni Bosco poiché
il suo pane nero non era certo una
ghiottoneria. (M. B., I, 89-90).
515 - La gazza ingorda.
Giovannino Bosco aveva trovato in un nido una bella gazza. La
portò a casa perchè sua madre la cuocesse. Essa invece volle che la
allevasse nella gabbia. L'uccello crebbe e formò il suo divertimento
con le mille smorfie e vezzi. Un giorno Giovanni le diede una ciliegia.
Essa la trangugiò col nòcciolo. Giovanni gliene diede una seconda, una
terza, ecc. L'augello era gonfio; eppure appena trangugiato un frutto
era da capo con le sue strida. « Prendi », diceva Giovanni ridendo. Ad
un certo punto la gazza resta col becco aperto, dà un'occhiata compassionevole al suo piccolo padrone e stramazza morta.
— La gazza è morta!, disse Giovanni alla madre narrando il fatto.
— Vedi, i golosi finiscono tutti così!, sentenziò Margherita. Le
intemperanze accorciano la vita. (M. B., I, 115).
516 - Il vitto di Don Bosco.
La mensa di Don Bosco era tanto frugale, che avendo qualcuno
dei suoi colleghi fatta la prova di vivere qualche giorno con lui, non
vi potè resistere ed assuefarsi. La minestra non era meglio condita
di quella dei contadini poveri. Aveva di più una sola pietanza; ma la
madre per ordine suo gliela faceva alla domenica e gliela serviva ogni
giorno per pranzo e cena fino al giovedì sera. Al venerdì ne confezionava una seconda di magro, e con questa si terminava la settimana.
La famosa pietanza era generalmente una torta, e bastava farla riscaldare perchè fosse tosto preparata. Talora d'estate diveniva un po'
rancida; ma Don Bosco non vi badava e, figurandosi che la madre l'avesse cosparsa con un po' d'aceto, se la mangiava come se fosse un
piatto squisito. Questo fu l'apprestamento di tavola di Don Bosco sino a
quando egli cominciò ad avere con sè chierici e sacerdoti, i quali, per lo
studio e le occupazioni, ebbero bisogno di un vitto più confacente
e sostanzioso. (M. B., III, 25).
f) Onestà di vita.
517 - 1 giudizi del mondo.
Durante la permanenza di Don Bosco a Parigi nel 1883, non passò
giorno che ragguardevoli signori non lo invitassero alla loro mensa.
A tavola tutti gli tenevano gli occhi addosso; anzi vi furono di coloro
che disponevano perfino specchi e vetrate in guisa da poterlo contemplare senza ch'egli se ne accorgesse. D'ordinario mangiava poco,
il che faceva esclamare: « Che spirito di mortificazione! ».
Un giorno venne servito un gelato. « Vedrete che non ne piglierà,
bisbigliarono fra loro alcuni commensali, o ne taglierà una fettina per
mortificarsi ». Egli invece, che aveva sentito tutto, tirò giù
abbondantemente. « Ecco, si dissero allora i primi, fa così per essere creduto
goloso ». Don Bosco narrando questo episodio ai suoi figli, ne cava la
morale: « Vedete, diceva, come vanno le cose di questo mondo. Se uno
gode stima, tutto ciò che fa, si prende in buona parte; se, al contrario,
passa per cattivo, succede tutto al rovescio ». Quanto a lui, c'era perfino chi dopo il banchetto beveva quasi con
devozione le ultime gocce
di vino rimaste in fondo al suo bicchiere, conservando poi il bicchiere
stesso come reliquia. (M. B., XVI, 116-117).
FRASE BIBLICA.
- I tuoi discepoli hanno il coraggio della verità.
UNA MASSIMA DI DON BOSCO:
- La temperanza ed il lavoro sono i due migliori custodi della virtù.
PREGHIERA
DEL MESE. — Venite, Spirito del timor di Dio, e penetrate il mio cuore di un timore salutare affinchè io abbia sempre Voi, mio Dio, innanzi agli occhi e attentamente mi guardi da ogni cosa, che in qualsiasi modo possa offendere la divina Maestà vostra. Così sia. Pater
noster...
FIORETTO: — Studia, con il buon esempio, di trarre altri al bene. Recita una preghiera per gli scandalizzati da te.